La mia storia

Da bambina amavo lo starnazzare dei galli in campagna, nella casa della nonna dove trascorrevo i mesi estivi. Quando si beccavano rabbiosamente, mi sembrava di capirli. Mi assomigliavano: magri, arrabbiati, avvelenati verso un mondo che li nutriva solo per farli finire in pentola. Come se già lo sapessero. Ecco, anche a me sembrava di saperlo già. Ho fatto di tutto per scappare dalla pentola, da un destino senza prospettive che sembrava già scritto nella pietra.

I miei genitori erano figli di contadini spostatisi in città a lavorare in quella che era la più grande acciaieria di Salaj. Ero la primogenita e le mie memorie di famiglia felice si limitano a sbiadite immagini di quando non avevo ancora cinque anni. Poi i ricordi mutano in un copione consueto ma non per questo meno doloroso: una madre remissiva e poco empatica, un padre dalla vitalità viscerale che troppo spesso sfogava in gratuita violenza, alimentata da un contesto di incapacità comunicativa, frustrazione, sciatteria e tanto alcol.

Divorziarono presto. Era da poco passato l’89, ma la nostra quotidianità rimase quella stantia e deprimente del periodo sovietico. Non c’erano soldi. Non c’era il riscaldamento. L’acqua per lavarsi si scaldava sul fornello e la gran parte delle sere la cena consisteva in qualche fetta di lardo e poco altro. Io e mia sorella crescevamo senza prospettive. Io non sognavo una vita diversa, però. Oh, no, io la pretendevo.

Ho avuto sempre, dalla più tenera età, una consapevolezza forte, inattaccabile che non era quella la mia condizione. In un qualche modo non mi sentivo appartenere al mondo povero e grigio della mia famiglia, o di quel che ne restava. Esisteva infatti uno spiraglio, un’occhiale magico che mi consentiva talvolta di intravedere un mondo diverso, fatto di altra umanità, altre priorità, altre soddisfazioni. Era il mondo parallelo di zia Maria, sorella proprio di quel padre difficile che solo tanti anni dopo iniziai a comprendere, a cui occasionalmente potevo affacciarmi quando stavo qualche giorno da lei.

La chiamavano a qualunque ora e lei, per nulla infastidita che fosse magari un giorno di festa o una notte burrascosa, prendeva in fretta la valigetta, infilava le scarpe e senza lamentarsi saltava rapida sopra al cocchio che la avrebbe condotta all’ennesimo paziente da curare, salvare, o forse, se troppo tardi, solo ricomporre con dolcezza per l’ultimo viaggio. Era infermiera assistente del medico del paese, sorrideva sempre, conosceva tutti e tutti la conoscevano. E rispettavano. Ovviamente il mio sogno di bambina diventò presto di diventare come lei.

Fu proprio lei che mi aiutò con qualche soldo e tanta fiducia a terminare il liceo. E poi? Non c’erano soldi nemmeno per il cibo, figuriamoci per i libri. L’università non era cosa per noi…tantomeno una facoltà impegnativa come medicina. Mi iscrissi ad Economia.

Inutile dire che furono anni difficili e magri, letteralmente. Pressata dalla priorità di completare gli studi quanto prima e di rendermi indipendente da una famiglia che non mi poteva mantenere, le velleità di aiutare gli altri passarono presto in secondo piano e non ci pensai più. La mia testa non ci pensava più. Il mio inconscio ovviamente sì, a modo suo: la mia pancia, lei, lo sapeva bene cosa mi piaceva e cosa no. Ma a quel tempo non la sapevo ancora ascoltare.

Le circostanze della vita mi portarono, come tanti, ad emigrare all’estero. Per circa 5 anni mi guadagno da vivere lavorando in una società di finanza agevolata, e mi assopisco nella placida vita di provincia del benestante Nord Italia. Con il passare del tempo il lavoro iniziò a prendersi sempre più spazio nella mia vita, che tutto sommato procedeva senza troppe domande sotto l’ipnosi collettiva della settimana lavorativa, weekend di svago, e una ventina di giorni di ferie all’anno. Ero in un confortevole cul de sac. Non ero infelice. Ma non ero felice.

All’apice di questa routine, un evento inaspettato, e col senno di poi benefico, cambiò le carte in tavola. La società per cui lavoravo chiuse d’un tratto e mi ritrovai a casa da un giorno all’altro. Fronteggiare d’un tratto giornate vuote e silenziose fu come uscire da un sogno ed entrare in un incubo. Il suono di un giorno infrasettimanale trascorso da soli dentro i muri di casa propria è così diverso da quello di un giorno festivo! Lo scalpiccio del postino, il chiacciericcio dei bambini che tornano da scuola, l’aspirapolvere della colf della palazzina di fronte null’altro facevano che rendere più evidente la mestizia di quel silenzio urbano e di quel tempo di cui non sapevo come riappropriarmi. Mi arrabbiai della stessa rabbia che avevo da bambina e mi resi conto che era quello il momento di riprendermi tutto. Tutto. Di nuovo.

Lo stress ed il senso di impotenza mi provocarono una orticaria cronica con cui dovetti combattere per mesi. Giorno dopo giorno mi sentivo scendere scendere in un vuoto di senso e solitudine. Eppure fu proprio la sensazione di toccare il fondo che mi permise di darmi una spinta e risalire: quando si prende consapevolezza di uno stato di cose a livello interiore, emotivo, oltrechè mentale e razionale, la nostra attenzione inconscia si attiva e diventiamo più ricettivi a situazioni, eventi, opportunità intorno a noi che possono avere una rilevanza con il nostro stato. Fu così che, dopo avere provato mille medicine senza effetto, mi imbattei nella terapia riflessiva e nella meditazione conversazionale. A ruota ho scoperto il coaching olistico. Mi resi conto che, se era ormai per me troppo tardi per curare le persone nel corpo, avevo ancora la possibilità di formarmi per curarle nella mente e nell’anima. Ho così cominciato ad esplorare e conoscere questi nuovi territori curando il mio malessere e aprendomi a nuove prospettive. Affascinata dai risultati, ho studiato professionalmente Career Coaching, Life Coaching, Terapia riflessiva e Meditazione Conversazionale, ottenendo gli accreditamenti necessari per poter esercitare.

Attualmente frequento un Master in Psicologia Clinica e muovo i primi passi come life and career coach: aiuto giovani ed adulti a trovare il coraggio di fare ciò che vogliono e valorizzare il presente.

Ho capito sulla mia pelle che non basta avere chiarezza sui propri sogni (e questo è già molto, però!), ma è anche necessario avere la forza, la capacità e le condizioni per lavorare nella direzione giusta per realizzarli. E’ facile che la vita ci faccia imboccare strade sbagliate e solo sbattendo contro un muro si realizzi che si deve tornare indietro e imboccare un’altra via. Una migliore educazione emotiva, un coach che ci segua e aiuti a capire il funzionamento emotivo e psicologico nostro e di chi ci sta intorno, sono un modo efficace per farci imboccare da subito la strada giusta e permettere che la nostra vita sia un viaggio riuscito, non una deludente passeggiata con poca convinzione che ci riporta al punto di partenza.

Vuoi arrivare piùà rapidamente di me a trovare la tua starda e realizzare i tuoi sogni? Scegli una carriera con cognizione di causa, grazie al supporto di un Career Coach!

Per saperne di più, ti offro una sessione gratuita: perché TU VALI!