L’importanza dell’esempio

Spesso si sottovaluta o non si percepisce come, nell’infanzia e prima giovinezza, l’esempio pratico abbia un effetto estremamente più forte ed efficace del solo insegnamento verbale. Quello che un bambino vede fare intorno a sé dagli altri ed in particolare dai suoi riferimenti educativi (genitori, fratelli, parenti…) conta molto di più di ciò che essi gli dicono, raccontano, spiegano. Certamente ne avrete conferma se fate l’esercizio di mettere in relazione i vostri comportamenti di oggi con quelli che osservavate nelle persone che vi erano più vicine nella vostra infanzia, e con quanto vi insegnavano a parole e però non collimava affatto con i loro comportamenti pratici.

L’esempio ripetuto, osservato con i nostri occhi, si fissa nel subconscio in modo inconsapevole. Per il solo fatto che lo vede accadere da parte di un riferimento educativo, il bambino introietta il comportamento osservato come un automatismo, per cui assume sia naturale che “si fa così”. Si impara innanzitutto per imitazione. L’apprendimento è di pancia prima che di testa.

Ciò che invece solo spiegate loro, si limita ad essere un apprendimento intellettivo, privo di introiezione. Certamente importante, ma potrebbe restare limitato ad una conoscenza intellettiva prima di una reale introiezione “corporea”, ad un capire con la testa, senza però sentire con il cuore, o, come spesso si dice, con la pancia.

E’ evidente che in un bambino, per la formazione del carattere e della personalità, è l’apprendimento introiettivo (di pancia) che è importante. Quello intellettivo verrà dopo, e, anche in un adulto, non può avere la stessa valenza, lo stesso peso.

Ciò che fate davanti ai vostri figli, anche quando credete che non vi guardino, conta molto, molto di più di cosa spiegate loro. Dire poi “tu però non farlo”, “però è meglio se invece…” semplicemente non funziona.

Faccio con voi l’esercizio di ripensare alla mia infanzia cercando degli esempi.

Mio padre per pigrizia tendeva a lasciare andare le cose, ad accantonare i piccoli fastidi quotidiani invece di risolverli subito con poco sforzo. Inevitabilmente con il tempo invece di sparire, si ripresentavano più grandi di prima. Ovviamente il sistema educativo (la scuola in primis) mi insegnava l’opposto: non fare domani ciò che puoi fare oggi. Io ero un bambino introverso ed intelligente. Ascoltavo, capivo,  rispettavo ed eseguivo ciò che mi veniva insegnato, anche a sole parole. Così, sono cresciuto sapendo perfettamente che la cosa giusta è affrontare subito i piccoli problemi prima che peggiorino. E tendenzialmente lo faccio. Tuttavia questo mi richiede sempre, inevitabilmente, uno sforzo iniziale per vincere l’inerzia del girarmi dall’altra parte facendo finta di nulla. Perchè ciò che io ho imparato essere il comportamento naturale, “innato”, è quello di lasciare per domani ciò che si può risolvere oggi. Anche se razionalmente so che non va bene, istintivamente è per me naturale: lo ho imparato, nel senso di introiettato e fatto mio a livello di comportamento automatico, perchè lo vedevo fare con continuità da una delle mie figure di riferimento. Grazie papà (ti voglio bene lo stesso…).

Se io oggi mi arrangio a fare da solo molti tipi diversi di lavoretti manuali, e non mi scoraggia affatto cimentarmi in lavori pratici mai fatti prima (provo, sbaglio, capisco, imparo, ci riprovo) è perchè ho visto, per tutti i miei primi vent’anni, mio padre arrangiarsi a fare da solo mille lavoretti diversi, dalla meccanica all’idraulica alla falegnameria. Ma non ha mai speso una sola parola a dirmi che vada bene farlo. Anzi, il più delle volte mi spingeva a salire in casa a studiare piuttosto che a trascorrere il pomeriggio con lui in garage. Mi voleva laureato, mica operaio tutta la vita come lui. E io ho studiato, tanto. Oggi ho una laurea appesa al muro dell’ufficio e una ottima carriera (ebbene sì, sono un Direttore, wow)… però se mi si rompe la cassetta del WC, vado a prendere la borsa degli attrezzi e me la sistemo io. Mi cambio l’olio dell’auto da solo. Non perchè mi manchino i soldi per pagare l’idraulico o il meccanico. Non sono neanche tanto bravo a fare questi lavoretti. Ma li faccio perchè per me è normale, è giusto che sia così. E’ cosi che si fa: lo faceva anche il mio papà. Allora lo so fare anche io, lo posso fare anche io… lo devo fare anche io. E’ cosi che funziona. Grazie papà!

E se papà picchiava la mamma? Ahimè, le cose funzionano proprio allo stesso modo: allora anche io… però mi hanno detto che non va bene…si ma…papà lo faceva: quindi allora si può fare…anzi, si deve…

Se oggi amo leggere è perchè una zia a noi molto vicina era una assidua lettrice, ed aveva la casa piena di libri. E sapevo, o almeno così si diceva, che li aveva letti tutti. E non ne avevo dubbio, giacchè la vedevo spessissimo assorta nella lettura dei suo amati testi di storia romana. Nella vita faceva la sarta. Ma ne sapeva di storia romana più dei miei professori di scuola. Allora per me, da bambino, leggere divenne una cosa che si poteva fare, era normalità. Una cosa che si fa. Poi a scuola, da più grandicello, ho scoperto di sapere anche scrivere molto bene. Ma nessuno in famiglia ha mai scritto un libro, nemmeno mia zia (li leggeva solo). E, guarda un pò, non sono ancora riuscito a farlo nemmeno io. La mia testa mi dice che ne sarei capacissimo. Ma il mio corpo (il mio cuore, la mia pancia) sembrano non essere affatto d’accordo. Ecco: sono convinto che se avessi avuto l’esempio, la sicurezza, di qualcuno in casa che avesse scritto dei libri, non avrei mai avuto nessun blocco, nessuna titubanza, e, avendo introiettato come normalità lo scrivere un libro, probabilmente avrei già vari tomi a mio nome se non pubblicati, quantomeno nel cassetto.

Tutti questi esempi personali per esemplificare quanto nell’educazione dei bambini siano importanti l’esempio, l’essere ed il fare, rispetto al dire e raccontare.

Non serve a nulla dire ad un bambino di guardare poco la TV o limitargliene l’uso a poche decine di minuti al giorno, se poi vede quotidianamente i genitori gaurdarla tutti i giorni (magari per due ore o più).  Non serve a nulla dirgli di non parlare male ai suoi amichetti, se poi vede i genitori parlarsi male tra loro. Non serve a nulla ripetergli di leggere un libro se non vede i grandi di casa farlo, o se si limitano alla Gazzetta dello Sport.

Non solo: l’esempio, le azioni pratiche che il bambino vede, devono essere autentiche, ovvero svolte dagli adulti con naturalità e per loro effettivo interesse. Non dovrebbero essere svolte forzatamente, per soddisfare un desiderio del bambino o invogliarne un comportamento, senza che l’adulto sia intimamente, genuinamente partecipe dell’azione. Il bambino certamente se ne accorgerebbe. E capirebbe che sta assistendo ad un teatrino: non lo prenderebbe sul serio. Il messaggio sarebbe l’opposto di quello desiderato: mi mostrano che si dovrebbe fare così…ma non è vero, è per finta…quindi in realtà non è così che si fa.

Non dimentichiamo infatti che i bambini hanno un istinto molto sviluppato, un po’ come gli animali che sentono in anticipo l’arrivo di un cambiamento metereologico o di un terremoto, e noi uomini adulti non ci sappiamo spiegare come sia possibile. Essi percepiscono le minime variazioni fisiologiche associate all’umore degli adulti che hanno intorno, con una sensibilità che che gli uomini adulti hanno perduta. I bambini e gli animali hanno il dono (ed il limite) di vivere ancora nel mondo dell’istinto che a noi uomini adulti è per lo più precluso. Spesso gli adulti credono di ingannare i bambini, ma i bambini si accorgono benissimo che gli adulti non sono sinceri. Fate uno sforzo e tornate con la memoria a quando eravate bambini. Sforzatevi di ricordare. Certamente avrete dei ricordi che lo dimostrano.

Non basta sapere. Bisogna essere. Non basta dire. Bisogna fare. Soprattutto di fronte ai bambini.